martedì 8 febbraio 2011

Quali variabili influenzano i rendimenti del mercato azionario? (Parte 2: i tassi d'interesse)

Abbiamo visto nella prima parte di questa analisi che i tassi di crescita economica rappresentano un fattore inutile o, al più, inutilizzabile per prendere posizione sui mercati. Andiamo ora ad analizzare un altro fattore che viene spesso messo in relazione con i rendimenti dei mercati azionari: la politica monetaria delle Banche Centrali e, quindi, il livello dei tassi di interesse.

Il luogo comune è, infatti, quello per cui una politica monetaria espansiva e, di conseguenza, un basso livello dei tassi di interesse, rappresentino una garanzia di rendimenti azionari positivi.

Iniziamo l’analisi usando come riferimento il tasso a 10 anni . I tassi a M/L termine sono quelli che maggiormente incidono nei modelli DCF, usati dagli analisti per esprimere valutazioni sui titoli azionari.
                                                                                                                                                                            
Andiamo innanzi tutto a verificare se esiste una qualche relazione tra la variazione dei tassi di interesse decennali in un periodo e la performance del mercato azionario nel medesimo periodo. Il grafico seguente mette a confronto la variazione semestrale dei tassi di interesse USD a 10 anni (asse x) con il rendimento del mercato azionario USA nel semestre stesso (asse y). I rendimenti considerati sono total return (ossia ipotizzano il reinvestimento dei dividendi). L’analisi è condotta su un periodo molto ampio che va dal 1927, anno a partire dalla quale lo storico dell’S&P500 è disponibile, fino ad oggi.


Fonte dati: Robert Shiller, Bloomberg.       Elaborazione: EquityScreening

La retta di regressione ha un’inclinazione negativa: questo indica una tendenza del mercato azionario ad offrire performance superiori alla media in semestri durante i quali i tassi d’interesse sono scesi, e viceversa. Come si evince però dalla forte dispersione delle singole osservazioni attorno alla retta, questa relazione è molto debole: l’R2 ci indica come solo lo 0.90% della variabilità della variabile dipendente (rendimenti azionari) è spiegato dalla variabile indipendente (variazione dei tassi).
Inoltre si tratta ovviamente di una relazione non sfruttabile operativamente, a meno di non conoscere in anticipo la variazione dei tassi nel semestre seguente.

Diventa quindi più interessante verificare se esiste una qualche relazione tra la variazione dei tassi d’interesse decennali ed i rendimenti azionari successivi.
La tabella seguente analizza la presenza di eventuali relazioni tra queste due variabili su diversi orizzonti di osservazione della variazione dei tassi e su diversi orizzonti di osservazione dei successivi rendimenti azionari:

Fonte dati: Robert Shiller, Bloomberg.       Elaborazione: EquityScreening

Sembra in effetti esserci una qualche relazione tra la variazione dei tassi e la performance dei mercati azionari nei mesi immediatamente successivi: a periodi di tassi calanti seguono periodi di performance azionarie mediamente positive. I livelli di R2, che oscillano tra lo 0.2% e l’1.8%, mostrano però come questa relazione sia, ancora una volta molto debole, e quindi difficilmente sfruttabile. Se poi l’orizzonte sotto il quale si valuta la performance del mercato azionario va oltre i 12 mesi, la relazione scompare completamente.

Andiamo ora a verificare se esiste una relazione tra il livello assoluto dei tassi decennali (anziché la loro variazione) ed i successivi rendimenti azionari. Se fosse corretta la teoria che vuole i rendimenti azionari fortemente influenzati dal livello dei tassi, dovremmo ottenere una relazione inversa: a tassi di interesse alti dovrebbero seguire rendimenti azionari bassi o negativi e a tassi di interesse bassi dovrebbero seguire rendimenti azionari elevati.

Fonte dati: Robert Shiller, Bloomberg.       Elaborazione: EquityScreening

Vediamo che non è assolutamente così. La correlazione tra le due variabili è leggermente positiva (6.4%) e la retta di regressione è inclinata positivamente: a tassi di interesse più elevati corrispondono rendimenti azionari più elevati nei successivi 12 mesi. Questa relazione è in ogni caso debolissima (R2 prossimo allo 0), pur essendo statisticamente significativa al 95%.
Allargando il periodo di osservazione i risultati non cambiano, anzi la correlazione tra livello dei tassi e successivi rendimenti azionari aumenta.
Se analizziamo la relazione tra i tassi di interessi ed i rendimenti annui azionari nei successivi 5 anni, la correlazione è infatti pari a +20.50%.
Se i rendimenti considerati sono quelli nei successivi 10 anni, la correlazione sale a +22.9%:

Fonte dati: Robert Shiller, Bloomberg.       Elaborazione: EquityScreening

Spostiamo ora l’attenzione sui tassi a breve, che sono l’espressione più diretta della politica monetaria. La serie storica più lunga che sono riuscito a trovare è quella del rendimento dei Titoli di Stato USA a 3M (l’equivalente dei nostri BOT), che parte dal 1954.

Seguendo lo stesso percorso logico usato per i tassi a lungo, andiamo innanzi tutto a verificare se esiste una qualche relazione tra la variazione dei tassi di interesse trimestrali in un dato semestre e la performance del mercato azionario nel medesimo semestre.

Fonte dati: Robert Shiller, Bloomberg.       Elaborazione: EquityScreening


E’ evidente sia visivamente che dalla verifica dell’R2 che non ci sia alcuna relazione statistica tra le due variabili.

Verifichiamo ora se esiste una qualche relazione tra la variazione dei tassi d’interesse trimestrali ed i rendimenti azionari successivi.
La tabella seguente analizza la presenza di eventuali relazioni tra queste due variabili su diversi orizzonti di osservazione della variazione dei tassi a breve e su diversi orizzonti di osservazione dei rendimenti azionari:

Fonte dati: Robert Shiller, Bloomberg.       Elaborazione: EquityScreening

In questo caso le risultanze sono simili a quelle ottenute con i tassi a lungo termine: esiste una relazione tra la variazione dei tassi e la performance dei mercati azionari nei mesi immediatamente successivi: a periodi di tassi calanti seguono periodi di performance azionarie mediamente positive. Si tratta però anche in questo caso di una relazione debole e quindi difficilmente sfruttabile. Se poi l’orizzonte sotto il quale si valuta la performance del mercato azionario va oltre i 12 mesi, la relazione si riduce ulteriormente di intensità.

Chiudiamo il cerchio verificando se esiste una relazione tra il livello assoluto dei tassi trimestrali (anziché la loro variazione) ed i successivi rendimenti azionari.
Anche in questo caso i risultati sono sorprendenti. Esiste una relazione positiva tra il livello assoluto dei tassi ed il successivo rendimento azionario: a tassi di partenza elevati corrispondono rendimenti successivi superiori alla media, ma solo per periodi di osservazione del rendimento del mercato azionario superiori all’anno (l’R2, che si aggira attorno allo zero per periodi pari o inferiori a 12 mesi, passa infatti al 7.7% per periodi di 5 anni e a 20.2% per periodi di 10 anni).  L’intensità di questa relazione sembra comunque essere influenzata da poche osservazioni dei primi anni Ottanta, in cui si è partiti da tassi d’interesse a doppia cifra e ai quali sono seguiti anni di rendimenti azionari elevatissimi.
Fonte dati: Robert Shiller, Bloomberg.       Elaborazione: EquityScreening

In conclusione, il luogo comune che una politica monetaria espansiva e tassi d’interesse bassi si traducano automaticamente in rendimenti azionari elevati è quindi errato (se consideriamo i livelli assoluti dei tassi) o molto debole e difficilmente sfruttabile (se consideriamo le variazioni dei tassi).
Questa teoria è peraltro smentita dal caso recente del Giappone, dove gli ultimi decenni hanno prodotto rendimenti azionari negativi pur in presenza di tassi d’interesse a zero.

Nel  terzo capitolo di questa analisi, che pubblicherò nei prossimi giorni, andremo ad individuare ed analizzare quella che, a mio parere, è la variabile che meglio ci aiuta nello spiegare i rendimenti passati e, eventualmente, provare a prevedere quelli futuri.

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