martedì 1 febbraio 2011

Quali variabili influenzano i rendimenti del mercato azionario? (Parte 1: La crescita economica)

Il "core business" di questo blog è l'individuazione dei fattori, degli stili di investimento e dei risk premium che determinano differenziali di rendimento tra titoli azionari appartenenti allo stesso mercato, nonchè lo sviluppo di strategie di investimento che cercano di individuare e sfruttare questi differenziali, in un'ottica strategica oppure tattica.

Con questo post adotto invece un approccio differente, facendo un passo indietro e cercando di capire quali fattori determinano i rendimenti del mercato azionario nel suo complesso.

La prima risposta che verrebbe in mente è che l'elemento fondamentale che influisce sui rendimenti azionari sia la crescita dell’economia.
Ci dovrebbe essere quindi una correlazione positiva tra il tasso di crescita del PIL di un Paese ed i rendimenti del mercato azionario di quel Paese stesso.

Nel loro Global Investment Returns Yearbook 2010, gli analisti di Credit Suisse ci dimostrano in realtà che, come mostra il grafico sottostante, questa relazione, se c’è, è negativa (correlazione di -0.23): i paesi che negli ultimi 110 anni hanno avuto un incremento del PIL pro-capite maggiore (colonna grigia) sono anche quelli che hanno avuto i minori rendimenti dei mercati azionari (colonna blu).

Fonte: Credit Suisse - Global Investment Returns Yearbook 2010

Qualunque sia il numero di Paesi considerato e l’intervallo temporale dell’analisi, una strategia che avesse investito nei paesi a più bassa crescita economica (prima riga della tabella) avrebbe riportato rendimenti paragonabili o addirittura superiori ad una strategia investita nei paesi con più elevata crescita economia (ultima riga).

Fonte: Credit Suisse - Global Investment Returns Yearbook 2010


Gli analisti spiegano questo fenomeno sulla base del fatto che la crescita delle società quotate rappresenta solo una parte della crescita del PIL, specie in Paesi (come il nostro) dove una fetta importante delle aziende non accede direttamente al mercato dei capitali.
Un’altra spiegazione può essere legata al fatto che molte grandi società quotate sono delle multinazionali, i cui utili dipendono solo in parte dal paese in cui la società ha sede (una società come Piaggio che genera buona parte dei propri utili nei paesi emergenti, dipenderà dai tassi di crescita di questi paesi più di una società cinese o indiana che esporta in Europa o negli Stati Uniti o che svolge servizi in outsourcing per conto di società occidentali).
Un’ultima spiegazione è di natura comportamentale: elevati tassi di crescita storica da parte di un Paese si traducono spesso e volentieri in tassi di crescita stimati per il futuro altrettanto elevati. Tali stime di crescita  possono pertanto essere esageratamente ottimistiche e determinare quindi una delusione negli investitori quando questi si scontrano con la realtà.

Quale che sia la ragione del fenomeno, andare alla caccia del paese con il più alto tasso di crescita atteso, che spesso altro non è se non una proiezione dei tassi di crescita passati, può essere pericoloso. E’ stato, ad esempio, il caso del Giappone qualche decennio fa. Potrebbe essere in futuro il caso della Cina, i cui tassi di crescita vertiginosi stimati per i prossimi anni (anche in questo caso nient’altro che una proiezione dei dati storici) potrebbero essere già stati ampiamente scontati dal mercato e, qualora non si realizzassero, potrebbero costare agli investitori delle delusioni negli anni a venire.


Questa analisi non deve portarci a concludere che la crescita economia è irrilevante per i rendimenti azionari. Se, infatti, il differenziale di crescita tra i paesi non ci aiuta a spiegare i rendimenti dei diversi mercati (la crescita è cioè un fattore irrilevante nello spazio), se ci concentriamo su un singolo Paese per volta notiamo che le variazioni dei tassi di crescita negli anni hanno un certo legame con i rendimenti azionari (la crescita è cioè di un fattore rilevante nel tempo).
Focalizzando l’attenzione sugli USA, notiamo infatti che esiste una relazione positiva tra la crescita del PIL in un trimestre e la performance del mercato azionario nello stesso periodo.

Fonte: Credit Suisse - Global Investment Returns Yearbook 2010


Questa relazione non può tuttavia essere utilizzata operativamente per prendere posizione sui mercati azionari, perché il dato finale sulla crescita del PIL in un dato trimestre viene reso noto in maniera ufficiale soltanto parecchi mesi dopo il termine del trimestre stesso.

Se verifichiamo la relazione tra la crescita del PIL nel trimestre N ed il rendimento del mercato azionario nel trimestre N+2 (quando il dato definitivo sul PIL del trimestre N sarà noto), questa è assolutamente inesistente (Adjusted R2 pari a 0).

Anche allargando il periodo di osservazione (da un trimestre ad un decennio) e analizzando altri mercati azionari, la conclusione a cui giungono gli analisti di Credit Suisse è la medesima: i tassi di crescita passati del PIL non sono di alcuna utilità nel prevedere i rendimenti futuri dei mercati azionari.

In sostanza, per quanto disporre di una previsione corretta sulla crescita economia nell’anno successivo sarebbe utile per stimare la performance del mercato azionario nell’anno in corso o nel successivo, gli investitori non ne sono in possesso. Gli investitori non conoscono neppure il tasso di crescita effettivo dell’anno appena concluso se non a nuovo anno già ampiamente in corso. Tutto ciò che possono fare è estrapolare i tassi di crescita storici del PIL e proiettarli nel futuro. Poiché questi tassi di crescita sono già prezzati dal mercato, questa pratica, come abbiamo visto, può essere pericolosa.

Nel prossimo post andremo ad analizzare un'ulteriore variabile che viene comunamente utilizzata per spiegare i rendimenti azionari: i tassi d'interesse.

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