martedì 24 agosto 2010

Trends: Quali stili funzionano sui mercati azionari - Parte 3

(continua da Parte 2)

Dopo aver analizzato come si sono comportati i diversi stili di investimento sui vari mercati azionari nel corso del primo semestre 2010 (Parte 1) ed esserci poi soffermati con particolare attenzione sul mercato europeo (Parte 2), passiamo ora ad un'analisi di più ampio respiro, che abbraccia il ventennio dal 1990 ad oggi. Anche in questo caso, l'analisi è ripresa da una recente recerca di RBS.

L'indicatore a cui faremo riferimento per valutare la performance dei diversi stili di investimento è l'Information Coefficient.  Si tratta di un indicatore concettualmente simile all'Information Ratio, di cui abbiamo già parlato.
L'Information Coefficient (IC) serve per quantificare il grado in cui l'esposizione di un titolo ad un certo fattore ne influenza i rendimenti successivi. Viene calcolato come la correlazione tra il punteggio attribuito a ciascun titolo in base ad un indicatore ed i rendimenti di ciascun titolo nel periodo successivo.


Per chiarire meglio, facciamo un esempio. Immaginiamo che lo stile sotto osservazione sia quello Size e che lo specifico indicatore utilizzato sia la capitalizzazione di Borsa. Si procederà ad ordinare l'universo di titoli in base a questo indicatore e ad attribuire un punteggio (cioè un rango) a ciascun titolo in base alla sua capitalizzazione (il titolo con la capitalizzazione più alta avrà il punteggio più elevato e viceversa).  Per ciascun titolo, si calcola poi il rendimento nel mese successivo. L'Information Coefficient non è altro che la correlazione tra la serie dei punteggi e quella dei rendimenti. Un Information Coefficient positivo che, se confermato nel corso dei mesi, si tradurrebbe in un Information Ratio positivo, indicherebbe nel nostro esempio che lo stile Size, ed in paritcolare l'indicatore capitalizzazione, hanno funzionato nel prevedere i rendimenti dei titoli azionari (ad una capitalizzazione maggiore si è, in media, associato un rendimento maggiore).
Al contrario un IC negativo indicherebbe una capacità predittiva negativa da parte dell'indicatore.



Passiamo ora all'analisi. I grafici seguenti mostrano per ciascuno stile l'Information Coefficient medio a 6 mesi: (cliccate sull'immagine per vederla in scala maggiore)

  • Value: gli indicatori Value mostrano un Information Coefficient medio durante il periodo leggermente positivo. Possiamo distinguere diversi momenti: una prima fase dal 1990 al 1997 in cui lo stile mostra una performance media contenuta, ma positiva, pur con qualche swing di breve periodo, in concomitanza con le fasi di risk aversion. Segue poi un periodo, quello sul finire degli anni 90, con lo svilupparsi della bolla tecnologica, in cui lo stile viene nettamente penalizzato dal mercato, che si orienta sui titoli con valutazioni elevate. Scoppiata la bolla, lo stile Value diventa assoluto protagonista sui mercati, con una fase caratterizzata da Information Coefficient particolarmente elevati che si protrae per circa 6 anni. Come in molte delle fasi di avversione al rischio, lo stile Value torna a soffrire in concomitanza con l'aggravarsi della crisi creditizia (2007 - marzo 2009). Dopo il forte rimbalzo della seconda metà del 2009, in concomitanza con la ripresa dei mercati azionari, dall'inizio dell'anno gli indicatori Value sono tornati a soffrire, segno che i ribassi degli ultimi mesi probabilmente non sono un fenomeno passeggero.
  • Growth: al contrario degli indicatori Value, quelli legati ai tassi di crescita (passati e stimati per il futuro), mostrano per l'Europa un grado di rilevanza molto contenuto, con Information Coefficient che si mantengono sempre nel range tra -0.05 e 0.05. Da segnalare la nota correlazione negativa con gli indicatori Value: a fasi positive di uno stile corrispondono, solitamente, fasi negative per l'altro stile.
  • Risk: gli indicatori di rischio si rivelano, invece, particolarmente preziosi nello spiegare il rendimento dei titoli azionari europei. Gli Information Coefficient quasi sempre negativi testimoniano come, contrariamente a quello che la teoria della finanza ci insegna, i titoli a basso rischio (e quindi, fra l'altro, a basso Beta) sovraperformino quasi costantemente quelli ad alto rischio.
  • EPS Revisions: anche le revisioni nelle stime degli analisti si affermano come un indicatore particolarmente utile in Europa. L'Information Coefficient si mantiene, infatti, quasi sempre su valori positivi abbastanza elevati e ciò testimonia come, in media, i titoli sottoposti ad upgrade da parte degli analisti abbiano sovraperformato nei mesi successivi alla revisione quelli oggetto di downgrade.
  • Long Term Momentum: il Momentum di lungo termine mostra un andamento simile a quello delle EPS Revisions, pur con oscillazioni più elevate. Ciò vuol dire che i titoli con overperformance a 6-12 mesi rispetto al mercato tendono a confermarsi come vincitori nei mesi successivi, a discapito di quelli che hanno sottoperformato il mercato, che tendono a proseguire nella sottoperformance. Interessante è il picco negativo in termini di Information Coefficient mostrato nella seconda metà del 2009 quando i titoli peggiori dei precedenti 6-12 mesi (banche e società con elevato indebitamento) sono stati quelli che hanno mostrato la maggiore overperformance non appena il rimbalzo dei mercati si è affermato.
  • Short Term Momentum: gli indicatori di Momentum a breve termine (da 1 settimana a 3 mesi) si rivelano invece meno utili nello spiegare i rendimenti azionari: a mesi con Information Coefficient positivi, peraltro prevalenti (a testimonianza del fatto che l'effetto momentum funziona anche su intervalli più brevi), si alternano infatti fasi con Information Coefficient negativi.
  • Profitability: gli indicatori di profittabilità mostrano, come è facile immaginare, un andamento opposto a quelli legati al Rischio. Le fasi di avversione al rischio, in cui gli investitore fuggono dai titoli più rischiosi, mostrano infatti un prevalere dei titoli con redditività e margini elevati, considerati porto sicuro in situazioni di incertezza. Gli Information Coefficient si mantengono su valori mediamente positivi, salvo in fasi di rimbalzo dei mercati al termine di fasi di bear market, quando a prevalere sono invece i titoli a minore qualità.
  • Size: contrariamente a quanto esposto in molte ricerche, nel caso europeo non si verifica un effetto small cap. Anzi, mediamente le large cap sovraperformano il mercato.
Da questa analisi possiamo trarre due conclusioni:
1. in Europa alcuni stili di investimento e di conseguenza alcuni indicatori mostrano una significativa capacità nello spiegare, e quindi prevedere, i rendimenti dei titoli azionari.
2. Al tempo stesso, anche gli stili con maggior capacità esplicativa, mostrano alcuni periodi, a volte prolungati, in cui le relazioni di lungo periodo si ribaltano.

Da queste basi si muoverà il secondo modello di selezione titoli che, a partire da novembre, si andrà ad affiancare al modello Classic già proposto.
Il modello, che attribuirà pesi dinamici nel tempo ai diversi indicatori e che appunto per questo si chiamerà Dynamic, avrà 3 importanti vantaggi rispetto ai modelli a pesi statici:
  • Lo schema di ponderazione dinamica dei diversi fattori consente di attribuire un peso elevato agli stili che stanno mostrando una elevata performance;
  • Lo schema consente di ridurre, o di attribuire un peso addirittura negativo, ai fattori che sono "fuori moda", magari perchè le inefficienze su cui vanno ad intervenire sono state arbitraggiate sul mercato da altri operatori;
  • Lo schema tenderà infine a ridurre fortemente la ponderazione di quei fattori il cui segnale risulta "sporco", ossia il cui Information Coefficient evidenzia frequenti variazioni di segno; si tratta, cioè, di quegli stili che mostrano un Information Ratio tendente a zero.
Nei prossimi mesi andremo a delineare meglio le caratteristiche di questo nuovo modello.

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